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Il piemonteis ‘merican: una lingua di frontiera Una ricerca studia l’incontro tra il dialetto piemontese e spagnolo

27 Marzo 2024

2 minuti

Corriere della Sera edizione di Torino
da un articolo di Paolo Coccorese
6 marzo 2024

I linguisti Eugenio Goria e Fabio Gasparini dell’Università di Torino hanno dedicato un lavoro di ricerca al piemontese-americano.
Una ricerca sul campo, svolta percorrendo centinaia di chilometri nella pampa tra Cordova e Santa Fe e intervistando molti discendenti di quei 300 mila piemontesi sbarcati nel sud dell’Argentina dopo il 1875.
Facendo tappa nei tanti circoli culturali piemontesi, compresi quelli dei paesi come Rio Tercero, San Francisco, Justiniano Posse, General Cabrera e Paraná, i ricercatori hanno incontrato il «piemonteis ‘merican», una lingua «di contatto» nata dal dialetto rustico usato dai contadini, spesso analfabeti, partiti, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, dal nord del Torinese e dalla parte meridionale della Granda. Pinerolo, Savigliano, Fossano, Cumiana sono i paesi presenti nelle biografie degli eredi dei «gringo», cioè i «rozzi delle campagne», come venivano chiamati gli italiani d’esportazione esclusi perché non conoscevano lo spagnolo.
«Come i brasiliani, che vivono vicino al confine argentino, parlano il portuñol, il portoghese-spagnolo, qui si usa il piemonteis ‘merican che mixa le parole del dialetto con quelle del castigliano e viceversa […] Non avevamo nessuno studio, ma solo qualche traccia di questo strano dialetto, ricco di vocaboli castigliani e costruzioni grammaticali spagnole, usato dai discendenti degli immigrati di fine Ottocento», spiega Goria.
Con la scolarizzazione e per integrarsi, in molti rinunciarono al dialetto, che sopravvisse grazie alle famiglie, alle canzoni e alle associazioni. Trasformandosi però in qualcosa di meticcio e di nuovo. Il piemontese-americano, infatti, si compone di parole spagnole pronunciate alla piemontese. Il mate diventa il “mato”, il chacarero, il contadino, il “chacaré”. Mischiate con i vocaboli d’origine. Alcuni sono diventati d’uso comune. «Come “magun”, il magone, una parola piemontese che esprime la tristezza dettata dallo sradicamento, usato anche da chi parla lo spagnolo», dice Goria riferendosi a quella sensazione che i portoghesi chiamano saudade.
«È emersa una dinamica di perdita e di recupero, possibile grazie alle attività dei tanti circoli frequentati anche dai giovani che sognano l’Europa, tipica di altre lingue come l’arabo, il russo, il cinese per le seconde generazioni di stranieri in Italia».

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